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Una ricetta golosa: la pollastra formato best-seller

Letto bel pezzo sulla “chick lit” a firma Paolo Bianchi su Il Giornale. Il genere “letture per pollastre” qui lo si segue con affetto dai tempi in cui (con un’amica che ora capita spesso da queste parti, ciao, sì sei tu) si lavorava più o meno in quegli ambiti con una regola di cucina molto precisa: mentre correggi e scrivi o riscrivi, leva la melassa, aggiungi bollicine e se possibile anche peperoncino, più o meno piccante.

Il pezzo del Giornale (è di venerdì 5 dicembre, ma quello che è buono non è mai vecchio) sta impaginato con una recensione del nuovo libro di Helen Fielding (la “mamma” di Bridget Jones), in cui la protagonista Olivia vira sullo spionaggio in un clima tutto post 09-11 e affiancato da un box che forse è ancor più interessante del pezzo stesso.

Ma andiamo con ordine.

Apprendiamo che la “chick lit” in GB viene già data per spacciata, che il genere è sommamente autoreferenziale, che i maschi non sono contemplati (quelli buoni sfuggono e quelli che restano sono molesti). Apprendiamo, per dirla con le parole dell’autore, che “le stesse funzionarie editoriali – il pezzo contiene parecchi titoli e qualche breve intervista – sembrano incarnazioni delle protagoniste dei libri di cui si occupano e tutte quante danno l’impressione di doversi impegnare un po’ a forza in qualcosa che sta al di sotto delle loro capacità, delle loro ambizioni e dei loro sogni di ragazze”. La questione di fondo è la distinzione tra letteratura alta e di genere. O meglio tra letteratura di genere e letteratura furbetta di più basso genere. Tutto ciò detto senza alcuno snobismo culturale e anzi massimamente rispettando chi campa delle proprie idee e parole, sia chiaro.

Apprendiamo infine come, dentro le redazioni di Piemme, Sperling & Kupfer, Salani, tutti cercano di dare una qual certa dignità alla “chick lit”, negando che vi siano formule o ricette studiate a tavolino.

E poi, nel box, elaborato dall’autore del pezzo troviamo proprio la ricetta. Ringraziandolo, fedelmente ricopio a beneficio vostro, o lettrici, il decalogo per il successo di un libro “rosa” dei nostri tempi Ora avete la ricetta, che altro attendete? Io per ora non mi cimento. La mia non conformità al punto 8 mi priva di un requisito necessario.

“Chick lit”: decalogo per un best-seller

1. Copertina dalla grafica vignettistica, colori pastello o fluorescenti.

2. Titolo ammiccante in stile colloquiale, anche di un’intera frase, eventualmente con la parola “uomo” o “lui” e contenente una metafora (tipo “cioccolato” o “biscotto”).

3. Protagonista una donna tra i 30 e i 40, vive in città, ha un’amica carissima ma nevrotica, un capufficio dispotico, colleghi maschilisti, una vita sentimentale pasticciata.

4. La protagonista lavora o ha a che fare con il mondo dei mass media e della comunicazione.

5. Il lui ideale è apparentemente introvabile: bello, brillante, bravo in cucina e a letto, dove gli si richiedono in egual misura passionalità e altruismo.

6. Il lui reale è un uomo che non vuol crescere, né assumersi le proprie responsabilità.

7. A un certo punto della storia la protagonista crede di aver trovato l’uomo giusto ma si sbaglia.

8. L’autore è una donna.

9. Il lettore è una donna.

10. Il finale non è lieto. È aperto.

Come dite? Quella sono io? Eh, sì. Ne conosco almeno tre o quattro di novelle Bridget Jones. Coraggio, ora avete lo strumento per trasformare il vostro diario nella prima pietra del vostro planetario successo. Poi, se il destino vi sorride, citatemi tra i ringraziamenti e siamo a posto così.

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