musica: capolavoro + documentarioKind of blue…

musica: capolavoro + documentario
Kind of blue (dual disc)

Kind of blueAlla Feltrinelli aveva lo sconto e non ho resistito. Ho comprato il dual disc di Kind of blue, disco di Miles Davis del 1959, disco fondamentale per la storia del jazz. Disco jazz in assoluto più venduto di tutti i tempi.
Il dual disc è un cd speciale: da una parte è un normale cd audio (e normalmente contiene il disco originale rimasterizzato o con altre caratteristiche tecniche che ti godi solo se hai un impiantone); l’altro lato è un alto dvd in questo caso c’è un documentario. Costava una ventina di euri e via.
Kind of blue lo possedevo solo su una TDK C-60 del 1992, che immagino ormai fossilizzata in garage. Reperti di un tempo che fu, di cui Emmebi ha nostalgicamente indicato un giacimento

Ora, se hai già Kind of blue in cd, questo dual disc te lo puoi perdere. Rispetto all’originale, il cd contiene un alternative take di Flamenco Sketches. Il documentario è caruccio ma non imperdibile. Ci sono questo e quello (Hancock, Jackie McLean, Shirley Horn, persino Bill Cosby) che parlano del fascino e dell’importanza di Kind of blue. Nulla di nuovo insomma. C’è anche – questo sì almeno emotivamente più emozionante – il volto rugoso e la risata catarrosa di Jimmy Cobb, il batterista unico vivente della formazione che incise il disco.

Se però Kind of blue non ce l’hai, beh il discorso cambia. Perché, in quel disco c’è sempre da scoprire. E da imparare. Rilassandosi per giunta.
E così mi son chiesto perché proprio quel disco, perché così famoso e amato e citato e comprato.

E butto là un po’ di risposte:
– Perché è un disco di Miles Davis, ma con lui ci sono almeno altri tre fuoriclasse assoluti (per non dire caposcuola) dei rispettivi strumenti: Trane, Cannonball ed Evans. I "gregari" sono gli elegantissimi Cobb e Kelly. Quindi il cast è di livello assoluto.
– Perché è un disco lento, morbido, a tratti lirico. È un sacco cool. 
– Perché è un po’ nero africano e un po’ cerebrale europeo.
– Perché essendoci Evans, che spennella la modalità, è un disco "colto". Winton Kelly è l’altro pianista e suona solo in una traccia (Freddie Freeloader): è bravissimo, è un signor pianista. Suona blues. Solo splendidamente blues. Fate caso alla differenza con Evans.
– Perché 2 pezzi su 5 sono dei blues, una forma che ci è stranota e che anche un ascoltatore non esperto seppur inconsciamente riconosce. (Altri due brani sono modali e poi la gemma di Blue in green è altro ancora.)
– Perché è un disco modale, appunto. Riprendendo alcuni esperimenti evansiani (la cui preistoria stava in Chopin), Davis decide di lavorare su poche scale, una o due, e di costruire tutto (temi, accordi, improvvisazioni) sulle note di quelle scale. Mi viene in mente un quadro fatto con due soli colori e le loro sfumature. (A me che di figurativo non so nulla, dico, mi viene in mente questo. E a te?) Il modale, che da questo disco in poi diventa un vero e proprio stile, per chi ascolta è rilassante (o noioso, dipende) come un porto sicuro. Per il musico invece è una sfida. Perché si trova a dover lavorare con molte meno frecce al suo arco. No cambi di accordo, no altre tonalità. E allora vengono fuori espressività e interpretazione. Saper creare cose nuove a ogni chorus con gli stessi pochi elementi, questa la sfida. 
– Perché è un disco da cucco. Lo dice persino Jimmy Cobb nel documentario. E Cosby aggiunge che "se lei non aveva ceduto a Flamenco Sketches (ultima traccia), allora la serata era in bianco". E quindi in teoria sarebbe uno dei pochi dischi – mi chiedo – per cui non vale l’adagio contiano sulle donne che odiavano il jazz?
– Perché è un disco regalatissimo (e giustamente) a tutto il pubblico non jazzofilo.

Ok, fin qui quello che è venuto in mente a me. Se ne vuoi sapere di più, sulla storia di quel disco c’è un libro apposta in cui investier i soldi che risparmi dal dual disc: 

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