Pavarotti e il Descensus Averni

Mi bastano dieci righe di Paolo Isotta, il critico melomane del Corriere, per stare già in un altro spaziotempo in cui per le vie di Milano l’unico suono che si sente è quello delle carrozze a cavalli. Quest’uomo, che iddio ce lo conservi, ha una prosa talmente antica, ricca e desueta che secondo me scrive con la stilografica. Bellissimo.

Nonostante una recente e gradevolissima vicinanza con una cantante vera, di lirica capisco tuttora davvero poco. Quindi di solito quando leggo Isotta mi godo la lingua e il suono gonfio delle parole e spesso non capisco una semiminima di niente.
Oggi del suo austero e impietoso coccodrillo pavarottiano ho capito tutto.

(Grazie Kiti, per il link.)

7 Comments on “Pavarotti e il Descensus Averni

  1. mi piacerebbe davvero leggere l’articolo di isotta (un breve estratto pubblicato da qualcuno mi ha titillato la papilla, e inoltre sono d’accordo con ogni sillaba). escludo di riuscire a comprare il corriere di oggi (per una serie di circostanze avverse che ti risparmio). è troppo lungo/complicato da copiare/scannerizzare….? sì, eh?

  2. E’ proprio vero, Isotta scrive come un gentiluomo d’altri tempi. Ed il suo coccodrillo riesce a porgere delle critiche fondate in modo quanto mai elegante 🙂

  3. A me l’articolo di Isotta non è piaciuto, anche se probabilmente ha ragione.
    Pavarotti ha chiesto di essere ricordato come musicista, ed è esattamente quello che Isotta (ma non solo lui) non fa. “Vorremmo ricordare” mi sembra una facile figura retorica per dire “non ricorderemo”.

  4. non è che hai qualcosa contro l’uso della stilografica, vero? No, perché le cialtronerie le scrivo con un mezzo qualunque anch’io, ma le cose serie… solo con la stilo.

  5. Brutta cosa, l’invidia. A me Pavarotti stava cordialmente sulle palle, ma questo articolo fa proprio ridere. E che cazzo, viene descritto come “un analfabeta musicale”, “a-ritmico per natura”, mancava che scrivesse che tutto sommato era pure stonato. Dai, qui si esagera: il talento dà proprio fastidio, eh? La scena è sempre la stessa: un sacco di musicisti si ammazza di studio e pratica, anni e anni per raggiungere un livello professionale, e poi arriva uno che ha studiato approsimativamente ma che la natura ha dotato di talento, e con quello, non ci sono cazzi, si brilla alla grande. Nonostante le imprecisioni, nonostante si studi il minimo, nonostante le mancanze che ovviamente agli occhi di chi talento naturale ne ha poco ma si e’ fatto un culo cosi’ per diventare musicista sono imperdonabili. Trasportate in generi differenti, non ti suonano familiari queste critiche pensando a Chet Baker, a digiuno di teoria ma geniale di suo, pensando a B.B. King, a Bix Beiderbecke, oppure al piu’ grande fuori dalla musica classica: Jimi Hendrix. Insomma, la mia domanda è: il fine della musica non dovrebbe essere bellezza “suono”, dell’ esperienza sonora? O è piu’ importante la fedelta’ assoluta alla teoria musicale? Perche’ allora vorrei sentire le stesse critiche mosse a Glenn Gould, cosi’ poi mi incazzo del tutto. Questo tuo giornalista scrivera’ pure con la stilografica, ma per questo articolo direi che è andato ad intingere la punta in un liquido meno nobile dell’inchiostro. Pavarotti era debole in teoria musicale? Probabile, ma era un gran bel tenore da ascoltare, e al di la’ del marketing tutto il suo successo non si spiega se non con la bravura. Questo brucia a parecchi, mi pare.

  6. Nulla contro le stilografiche.
    Nulla contro Pavarotti.
    Da ignorante io non avevo un’opinione sul Pavarotti cantante. L’articolo di Isotta mi ha dato solo delle info che non avevo. (Nell’art. tra l’altro, non c’è solo merda tra l’altro anche se in tempi di fiori è quella che si nota di più.)
    Tra la perfezione di accademie paludate e i talenti naturali pigri ma dotati io sto coi secondi, sempre. Anche se poi chi ha il talento e lo spreca fa incazzare. Ma non è questo il caso mi pare.

    Altre opinioni (tecniche e non) qui http://tinyurl.com/28xv23

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