Viola, il suo primo concerto (e un violino chiamato “Crosta”)

Dindo e i Solisti di Pavia

Poi un giorno vi racconterò di come Viola per caso iniziò a suonare il violino. E di come nulla accade davvero per caso. E di come ha battezzato il suo primo violino “Crosta”, gentilmente ricusando il mio suggerimento (Penelope).
L’altra sera, complice la sua adorata maestra, l’abbiamo portata al suo primo vero concerto di classica: un’occasione troppo ghiotta. Fior di orchestra (Enrico Dindo e i Solisti di Pavia), un programma abbordabilissimo  (Mozart, Bach figlio e Grieg, passando per un contemporaneo russo, tale Kapustin: tutto il programma della serata è in questa playlist di Spotify), la vicinanza a casa, e ultimo fattore gradito la gratuità dell’evento.
Così ho strappato a moglie il primo permesso serale di uscita per motivi culturali e ci siamo infilati.
L’orchestra apriva con Eine Kleine Nachtmusik, la Piccola Serenata Notturna, che Viola già ben conosce e canticchia perché la sente nei cartoni di Little Einsteins e nello Spotify del babbo
Risultato della serata, direi, spettacolare. Si è goduta tranquilla tutta la prima ora di concerto e ha ceduto solo sul finale, assopendosi. Ma appena desta alla fine se n’è andata in camerino con Silvia a conoscere i musicisti.
Distrattamente attenta durante la performance, ha applaudito solo quando era il caso, e sottovocissima mi ha riempito di domande. La più distratta su cosa fossero quei puntini sul braccio di Silvia (“Non è che per caso ha la varicella?”). La più intonata invece era “Perché il violoncellista direttore a volte facesse quel rumore respirando forte”. Enrico Dindo semplicemente ispirava. Ma nella sala buia e così meravigliosamente silenziosa, anche quel respiro era musica.
Perché se sei davvero ispirato, figlia mia, inspiri forte forte. Fin dal profondo del cuore. E gli spettatori allora sentono il tuo cuore che respira con la tua musica.
E se avessimo potuto parlare di più, avremmo commentato per bene sia la musica che i musicisti. Le avrei indicato quella specie di gigantesco hippy che stava dietro al contrabbasso. O quell’altro pettinato da paggetto in prima fila. O i vestiti delle musiciste. O quella buona dose di swing che ho scoperto dentro il misconosciuto russo Kapustin.
Dopo un’ora circa di concerto, col mio permesso, si è addormentata (“Tanto io non russo, papà, mica come te”).

Ecco, io penso che prima o poi nella vita, tutti dovreste provare a sentire un’orchestra d’archi, dentro un teatro, con una creatura di anni 5 che vi dorme addosso.

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