La mia Aida all’Arena, in prima fila con #arenadiverona100

Sono circa le 23, sono seduto dentro l’Arena di Verona, semivuota, a un passo dalla buca dell’orchestra, deserta. A due posti da me c’è un tipo strano che sembra completamente fuori posto, ancora più di me. Vistosi occhialoni rotondi, coppolina di lana scura, giacca a vento blu leggera. Con gesto elegante, impugna un microfono immaginario e inizia a cantare, intonatissimo.

“Quando ti ho vista arrivare, bella così come sei…”
Poi mi fissa.
“Non mi sembrava possibile che…”
Provo un leggero imbarazzo. Nessun uomo ha mai cantato così per me, né così bene, né in un posto simile.
“Tra tanta gente che tu ti accorgessi di me.” E non una canzone a caso: non c’era nastrone romantico per la fidanzata in cui a cavallo tra gli 80 e i 90 non infilassi proprio “Questa lunga storia d’amore” canzone di Gino Paoli.
Tutto questo accade poco prima del terzo atto di Aida, nell’allestimento della Fura dels Baus.
Ora se permettete metto in pausa il cantante e vi racconto come ero finito lì.

Ebbene quest’anno si celebrano due centenari: il bicentenario della nascita di Verdi (sì certo anche quello di Wagner) e il centenario dell’opera lirica in Arena. L’intuizione di tre appassionati melomani nel 1913, di aprire quello spazio al bel canto, fu azzeccata eccome e fece dell’Arena il più grande teatro all’aperto del mondo e un posto speciale e magico per l’opera. La Fondazione Arena di Verona sta celebrando i centenari con un grande cartellone e con alcuni nuovi progetti di comunicazione. Uno di questi includeva portare un valido manipolo di blogger curiosi a vedere la prova generale della nuova Aida. E ora avete capito perché stavo lì. Gli altri miei colleghi di blogtour si erano accomodati assai più indietro, nelle poltrone a noi riservate. E io con loro, almeno in principio. Poi però, quatto quatto / dopo il primo atto mi ero detto: / “e quando mai mi ricapita ‘sto fatto?” Così avevo smesso di pensare in rima e mi ero avvicinato alla buca. Ora, io confesso di non avere una grande storia d’amore con la lirica. Anzi, per dirla tutta quella era la mia prima opera. La prima opera, in prima fila, con l’Arena vuota e la sensazione che quella meraviglia accada solo per te. Ora, io non so se avete idea di cosa sia un’orchestra di 100 elementi che ti suona a un palmo dal naso. E poco più in là i cantanti, con la voce nuda che arriva adappertutto in Arena, e quel centinaio di persone che nella tua ignoranza credi siano figuranti e comparse e poi quando iniziano a cantare, allora capisci che cos’è un coro. 
Ma la nostra giornata era iniziata parecchie ore prima. E avevamo visitato il backstage e incontrato le persone che guidano la “macchina” Arena. Uno pensa: mettono su un’opera, poi la tengono in cartellone per 10-15 repliche e poi la cambiano. No troppo facile. La cambiano ogni sera. È un cantiere continuo, l’Arena, con gente sul palco 23 ore su 24. Un’angelica guida ci aveva assai ben condotto lungo le sale del Museo dell’Arena con la nuova sezione del centenario. E quindi poi ci toccava l’anteprima assoluta dell’Aida della Fura. Che è come ormai saprete uno spettacolo nello spettacolo, tanto che non ho potuto poi evitare di registrarla su Sky Classica e godermela anche in famiglia, con esiti diversi in base alle età  (da “Papà sì sì fammi vedere ancora l’elefante elettrico” a “Papà, ti prego togli quella roba che devo vedere i Simpsons!”). Uh ora che ci penso, alla piccola devo ancora mostrarle gli animali di Aida disegnati da Tostoini.

E poi è bastato raccontarlo a mia mamma per ricordarmi che lei aveva un passato di loggionista alla Scala nella Milano degli anni ’50. E quindi si ricorda un sacco di arie e di storie. E invece mia suocera ha tutt’altra piccola ma significativa storia riguardante proprio Arena: un viaggio in tre, lei e i suoi genitori, da Voghera a Verona per vedere proprio Maria Callas in Aida nel 1958. Un viaggio fatto sulla moto col sidecar, roba d’altri tempi, da miracolo italiano, da vera passione popolare per il canto. E questa è una storia di quelle da raccontare in “Arena, la vostra storia è la nostra storia”, che è la tab su Facebook in cui si possono scrivere i propri ricordi legati proprio all’Arena.
E poi, sempre in questo anno del centenario, Arena ha lanciato i tweet seats, cioè posti speciali accanto al palco, a soli 10 €. E se non vi trovate proprio in prima fila, poco ci manca. Io ci andrei di corsa, devo solo trovare un paio di complici per non fare la strada da solo. E pensavo che ci vorrei portare, per esempio, mio fratello. O con Clara viaggiattrice che assai più di me si intende di opera e quando mi porta in scena con “Improvvisamente” mi infila sempre sul piano qualche suggestione operistica. O l’amico Tinez, che farebbe delle foto fantastiche. O Kate Bellosta che con me canta jazz ma ha una storia di studi lirici sulle (giovanissime) spalle. Oppure Sasaki Fujika e Pleonastica (Kristalla) i cui post con le trame delle opere riscritte in modo più “divulgativo” (diciamo volgare, nella sua accezione più pura) ho ritrovato proprio in questi giorni e ho capito quanto mi erano mancati.

“Ora è già tardi ma è presto se tu te ne vai”
Se non vi siete addormentati premo il tasto pause e partiamo col finale. Ok.

Sento dei passi alle mie spalle. Il mio cantante personale si alza. Sono i musicisti che rientrano nella buca dopo la pausa caffè. Il “mio” cantante li raggiunge, senza mai smettere di cantare. Scambia con loro qualche sguardo, in particolare con una violinista (a cui a occhio e croce stava dedicando il pezzo: ebbene sì, non era per me tutto quel serenare intonato). Poi si cava la berretta e la giacca e sotto ha uno smoking, come tutti gli altri, imbraccia un contrabbasso, uno dei 10 magnifici contrabbassi e prende posto in sezione. Il direttore si posiziona. Riparte Aida. È tutto bellissimo, visto da qui. Grazie #arenadiverona100.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.