Olio di palma e sostenibilità

L’altro giorno sono andato a un incontro organizzato dall’Unione Italiana per l’Olio di Palma Sostenibile e nella mia beata ignoranza ho scoperto che la questione è parecchio complicata, come già avevo verificato leggendo Wired e IlPost.
Non si trattava però di un confronto tra pro e contro ma di un incontro tra l’Associazione e stampa e media e blogger, quindi in buona sostanza non era un dibattito con entrambe le opinioni in campo.
Che prima ancora di essere questione di salute e sostenibilità sia una questione di lobbying forse ci si poteva arrivare. 
Ecco le cose che non sapevo. Il successo clamoroso dell’olio di palma in questi ultimi anni è dovuto al fatto che costa poco e sostituisce grassi necessari, più costosi e non necessariamente più sani. Sul tema della salubrità, la soluzione sembra essere la solita: attenzione nelle scelte, moderazione in tutto, variare la dieta.
Il suo impatto ambientale è minore rispetto ad altri olii vegetali (poca acqua, pochi fertilizzanti, pochi insetticidi). Però nessun orango era presente e ha preso la parola per smentire l’assunto.
Attenzione al palmito. Quello è davvero meno sano.
In Italia il settore alimentare pesa solo per il 20% nell’importazione di olio di palma. L’incremento altissimo degli ultimi anni, che ha aumentato l’allarme deforestazione perché in Indonesia e Malesia, fuori dal perimetro delle coltivazioni sostenibili, il rischio c’è eccome, è dato dalle altre industrie: carburante e cosmesi in particolare.
Chi come Plasmon sceglie di fare prodotti palma-free fa una scelta – non di salute e prevenzione ma – di marketing e lo dichiara (“altrimenti a quel target non avremmo mai più venduto biscotti”).
Lo studio di EFSA che ha fatto tanto scalpore  riguardava tutti gli olii ma in Italia, stampa e opinione pubblica hanno amplificato i guai del palma.
La soluzione? Nella sostenibilità delle coltivazioni. Nella chiarezza delle informazioni in etichetta. Nella sensibilità di un consumatore consapevole, attento e informato. Sono tre elementi in costruzione, su piani diversi. L’ultimo in Italia è praticamente una chimera.
In buona sostanza c’è un discorso di lobby. Attualmente i pro-palma sono sotto i riflettori, sul banco degli accusati via, e vengono dipinti molto peggiori quello che sono, grazie all’attacco degli anti-palma che fa leva in modo più o meno consapevole su una stampa sensazionalistica e su un’opinione pubblica disinformata, ansiogena e un po’ boccalona. Il che è piuttosto tipico italiano. 
L’incontro si è aperto con una dichiarazione del prof Carlo Alberto Pratesi che suonava così: “Anche negli anni ’80 in Usa, il palma fu oggetto di crociate e sollevazioni popolari, orchestrate quella volta dai produttori di olio di soia”.
“Quindi per capire chi ci sta facendo la guerra al palma basta vedere chi ci guadagnerebbe se il palma perdesse quote, quindi quelli che lo seguono nella spartizione attuale del mercato?” Questa è stata la mia unica domanda. La risposta arrivata tra le righe suonava come un sì, forse. Ma è troppo presto per capire.
Se tanto mi dà tanto, queste cose hanno tempi lunghi.
Prevedo che in un evento in USA per stampa e blogger approssimativamente nel 2046 verrà svelato chi in Italia nel 2016 mosse guerra al palma. 

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