Perché (ri)leggere i (nostri) classici

Il mastello dei libri

I libri bellissimi sono quelli che puoi rileggere anche dopo tanto tempo e te li rigodi tutti ancora. Io mi scordo apposta le storie per potermele godere daccapo. No, non sono smemorato, non fraintendete. Mi sono educato a dimenticare.
Poi però ci sono i libri indimentcabili. Quelli che ogni volta che li rileggi, ti svelano qualcosa di te. E questi io li chiamerei proprio i “classici”, i tuoi classici. Perché sono quelli che ti hanno cambiato la testa, il cuore, la scrittura. O addirittura la vita. (Sarebbe bello allargarci. Quanti sono i “classici” nella vita di un uomo? Quali sono i tuoi? Ma ne riparliamo.)

Ecco, per esempio, un paio di estati fa ho ripreso “Natura morta con picchio”, di Tom Robbins (letto la prima volta nel 1994). E pensavo: madonna mia quante cose gli ho rubato io a questo stile qui, a questo genio qui. Ché prima di quel libro io mica scrivevo in quel modo. E lo stesso probabilmente penserei di “Castelli di rabbia”, di Baricco, letto nell’estate del ’96.

Ma non divaghiamo. Oggi si tratta di Pennac.
Dovete sapere che il bagnino dello stabilimento balneare ligure è un bagnino lettore. Ha condiviso un mastello di libri con tutti i suoi bagnanti. (Anche qui divagando mi piacerebbe raccontarvi cosa c’era dentro). Ci frugavo tutti i giorni lì, dentro al mastello e fruga e rifruga mi sono riletto per intero “Il paradiso degli orchi”. Ecco, io di quel libro e di tutta la saga ricordavo molte cose. Prima tra tutte zia Julia, mio indimenticato sogno eros-mantico già evocato in un antichissimo post di fantasticherie letterarie. (Mi rendo conto solo ora che zia Julia al tempo stava in panchina, citata solo nei commenti. Per una storia d’amore scelsi Charo).
Avevo dimenticato, invece, le narrazioni serali di Benjamin Malaussene davanti a tutta la famiglia. Quel suo ruolo di entertainer, affabulatore, mescolatore di realtà e fantasia, remixatore di storie e stili, che in famiglia (e talvolta non solo) mi sono cucito addosso, divertendomi un mondo.
Un ruolo, un’attitudine che è diventata talmente parte della mia vita, da pensare che me la fossi inventata io.
E invece.
Grazie Ben.
Grazie Daniel.

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