La Casa delle Storie: un teatro da SpettAttori

Ogni qual volta la mia amica maicontent, con cui condivido svariate inclinazioni e affezioni per tutto un coloratissimo universo popolato di fiabe, illustrazioni, attività e app per bambini, ogni volta che maicontent mi diceva della Casa delle Storie io drizzavo le orecchie e aspettavo. E diventavo sempre più curioso.

Mi incuriosiva da un lato l’entusiasmo e la passione che ci metteva lei, Antonella, nel raccontare i loro spettacoli. E nel sottolineare il fatto che da parecchi mesi purtroppo ormai la compagnia era rimasta senza un teatro, senza una casa per le sue Storie.
Mi incuriosiva dall’altro proprio il carattere distintivo del loro lavoro, il plus direbbero quelli che masticano il marketing, il concetto di teatro per SpettAttori. 
La notizia di queste ultime settimane è che la Casa delle Storie ha trovato casa al Teatro della Luna e finalmente li ho visti in scena. Anzi, di più, sono stato in scena con loro. Anzi di più siamo stati sul palco con loro: ed eravamo per fortuna in parecchi, tra genitori e bimbi. Più una nonna. Sì perché  per l’occasione, oltre a una figlia di 6 anni ci ho portato anche mia mamma. E nel momento iniziale in cui vengono “assegnate” le parti mi sono augurato due cose:
1. Che a mia madre 72enne facessero fare qualcosa per cui non c’era da camminare troppo o troppo veloce (questo per il bene suo).
2. Che a mia madre (inesorabile, micidiale, imprevedibile chiacchierona) non dessero un ruolo in cui aveva delle battute o poteva prendersi qualche libertà dal copione (questo per il bene della rappresentazione stessa).

Così in questo Gatto con gli stivali, noi tre siamo stati di volta in volta mugnai, venditori di pentole, coniglietti, gattini e nobildonna di corte.

E non solo abbiamo visto e ascoltato una storia ben recitata, ritmata, musicata, ma ci siamo entrati dentro in quella storia. E sono certo che Viola oggi lo racconterà alla maestra e a tutte le sue amichette. E idem mia madre con il club delle vedove allegre al bar sotto casa.
Ed entrambe stanno parlando di una rana parlante e di un attore così magicamente felino da farci dimenticare che era in realtà un bipede come noi.

Come vengono assegnate le parti, vi state chiedendo? Con un meccanismo semplicissimo e pur tuttavia piuttosto ricco di mistero (teasing come direbbero quelli che masticano il marketing). Un meccanismo che non vorrei svelare perché vorrei che lo scopriste voi direttamente.  Andando a vedere, pardon, a partecipare a uno dei prossimi spettacoli.
Se ci andate, mettiamoci d’accordo ok? Soprattutto se  per caso vi portate anche voi una nonna chiacchierona.

249mila km, il mio viaggio

249mila km, il mio viaggio.
Ho visto cambiare le facce, il clima, il paesaggio… sì un poco anche il paesaggio.
Ho viaggiato con sandali e scarponi da neve, in shorts e in cappotto. E tutte le varianti intermedie.
Ho viaggiato seduto, in piedi, sdraiato, schiacciato, aggrappato.
Ho viaggiato sopra e sotto terra, con e senza la bici  in mano.
Ma sempre con uno zaino in spalla.

249 mila km, il mio viaggio.
Ho viaggiato, letto, dormito, riso e anche pianto. 
Ho anche parlato, sì, una volta in viaggio si parlava, prima che tuii parlassero solo coi loro schermi.

249 mila km, il mio viaggio
Mi sono anche innamorato. Sì, 8 volte. 6 volte di libri, una di una ragazza e una di un uomo con la barba.

Ho viaggiato, per 249 mila km, avanti e indietro, in questi 12 anni. Pavia-Milano, Milano-Pavia.
E non ho ancora finito.

Poi una volta ho sbagliato treno.
Capita. Capita anche a noi pendolari. Era buio, il paesaggio non diceva nulla di sbagliato, ma c’era giuro nell’aria qualcosa di strano. Tutto era uguale ma niente e nessuno era al suo posto, persino l’odore era diverso.
L’odore dei pendolari ti sembra sempre uguale, finché non sbagli treno.

Nel buio, sono sceso come sempre alla prima stazione, la mia città, Pavia. E mi sono ritrovato a Lodi.
Lodi.
Il suono alieno di una meta inattesa, esotica.
Lodi come Timbuctù, Come Samarcanda, come Atlantide.
Ce l’hai presente Lodi, no? La prima a destra subito dopo le tue colonne d’ercole.

A Lodi quella sera nevicava fortissimo.
Sono andato nell’aiuola più vicina, ho aperto lo zaino e preso quel che mi serviva.
Dopo nemmeno 15 minuti avevo già tirato su la tenda.
Rossa.
Rossa nel buio della neve.
Rossa come quella del generale Nobile.

Poi ho sparato in aria entrambi i due razzi di segnalazione. Mi sono seduto e ho atteso.
Mentre aspettavo, ho realizzato che non avevo viveri. Ho iniziato a guardare in modo insistente un gatto randagio e dei piccioni. Non riuscivo a decidermi.

Dopo meno di un’ora, è arrivata mia suocera a salvarmi, con la sua slitta 5 porte, 1600 di cilindrata.
“Mio genero, I suppose…”

Da allora, mannaggia, non ho più sbagliato un treno.
Ma prima o poi ci riprovo.

 

Le fiabe di Zio Burp: stavolta “live” a Pavia

– Perché è un peccato tenerle nel cassetto, le storie che ho scritto.
– Perché le mie figlie diventano grandi in fretta e presto qui in casa non avrò più un pubblico. 
– Perché quando le ho lette nelle loro scuole, ci siamo sempre divertiti un sacco.
– Perché quando le ho lette in pediatria, sono uscito che ero un uomo migliore.
– Perché sarebbe il caso di scriverne di nuove.
– Perché con Claudia che disegna e con Gipo sto bene.
– Perché tutte queste storie sono state suggerite o innescate da miei dialoghi con bambini. E dunque è giusto restituirgliele.
– Perché poi forse da grande faccio il cantastorie e basta.

Per tutti questi buoni ottimi motivi vi aspetto, grandi e piccini, domenica 29 a Pavia, alla Bottega del Commercio Equo in C.so Garibaldi.
Passate parola.
E se non avete un bambino, diamine, fatevelo prestare per l’occasione. 

La mia Aida all’Arena, in prima fila con #arenadiverona100

Sono circa le 23, sono seduto dentro l’Arena di Verona, semivuota, a un passo dalla buca dell’orchestra, deserta. A due posti da me c’è un tipo strano che sembra completamente fuori posto, ancora più di me. Vistosi occhialoni rotondi, coppolina di lana scura, giacca a vento blu leggera. Con gesto elegante, impugna un microfono immaginario e inizia a cantare, intonatissimo.

“Quando ti ho vista arrivare, bella così come sei…”
Poi mi fissa.
“Non mi sembrava possibile che…”
Provo un leggero imbarazzo. Nessun uomo ha mai cantato così per me, né così bene, né in un posto simile.
“Tra tanta gente che tu ti accorgessi di me.” E non una canzone a caso: non c’era nastrone romantico per la fidanzata in cui a cavallo tra gli 80 e i 90 non infilassi proprio “Questa lunga storia d’amore” canzone di Gino Paoli.
Tutto questo accade poco prima del terzo atto di Aida, nell’allestimento della Fura dels Baus.
Ora se permettete metto in pausa il cantante e vi racconto come ero finito lì.

Ebbene quest’anno si celebrano due centenari: il bicentenario della nascita di Verdi (sì certo anche quello di Wagner) e il centenario dell’opera lirica in Arena. L’intuizione di tre appassionati melomani nel 1913, di aprire quello spazio al bel canto, fu azzeccata eccome e fece dell’Arena il più grande teatro all’aperto del mondo e un posto speciale e magico per l’opera. La Fondazione Arena di Verona sta celebrando i centenari con un grande cartellone e con alcuni nuovi progetti di comunicazione. Uno di questi includeva portare un valido manipolo di blogger curiosi a vedere la prova generale della nuova Aida. E ora avete capito perché stavo lì. Gli altri miei colleghi di blogtour si erano accomodati assai più indietro, nelle poltrone a noi riservate. E io con loro, almeno in principio. Poi però, quatto quatto / dopo il primo atto mi ero detto: / “e quando mai mi ricapita ‘sto fatto?” Così avevo smesso di pensare in rima e mi ero avvicinato alla buca. Ora, io confesso di non avere una grande storia d’amore con la lirica. Anzi, per dirla tutta quella era la mia prima opera. La prima opera, in prima fila, con l’Arena vuota e la sensazione che quella meraviglia accada solo per te. Ora, io non so se avete idea di cosa sia un’orchestra di 100 elementi che ti suona a un palmo dal naso. E poco più in là i cantanti, con la voce nuda che arriva adappertutto in Arena, e quel centinaio di persone che nella tua ignoranza credi siano figuranti e comparse e poi quando iniziano a cantare, allora capisci che cos’è un coro. 
Ma la nostra giornata era iniziata parecchie ore prima. E avevamo visitato il backstage e incontrato le persone che guidano la “macchina” Arena. Uno pensa: mettono su un’opera, poi la tengono in cartellone per 10-15 repliche e poi la cambiano. No troppo facile. La cambiano ogni sera. È un cantiere continuo, l’Arena, con gente sul palco 23 ore su 24. Un’angelica guida ci aveva assai ben condotto lungo le sale del Museo dell’Arena con la nuova sezione del centenario. E quindi poi ci toccava l’anteprima assoluta dell’Aida della Fura. Che è come ormai saprete uno spettacolo nello spettacolo, tanto che non ho potuto poi evitare di registrarla su Sky Classica e godermela anche in famiglia, con esiti diversi in base alle età  (da “Papà sì sì fammi vedere ancora l’elefante elettrico” a “Papà, ti prego togli quella roba che devo vedere i Simpsons!”). Uh ora che ci penso, alla piccola devo ancora mostrarle gli animali di Aida disegnati da Tostoini.

E poi è bastato raccontarlo a mia mamma per ricordarmi che lei aveva un passato di loggionista alla Scala nella Milano degli anni ’50. E quindi si ricorda un sacco di arie e di storie. E invece mia suocera ha tutt’altra piccola ma significativa storia riguardante proprio Arena: un viaggio in tre, lei e i suoi genitori, da Voghera a Verona per vedere proprio Maria Callas in Aida nel 1958. Un viaggio fatto sulla moto col sidecar, roba d’altri tempi, da miracolo italiano, da vera passione popolare per il canto. E questa è una storia di quelle da raccontare in “Arena, la vostra storia è la nostra storia”, che è la tab su Facebook in cui si possono scrivere i propri ricordi legati proprio all’Arena.
E poi, sempre in questo anno del centenario, Arena ha lanciato i tweet seats, cioè posti speciali accanto al palco, a soli 10 €. E se non vi trovate proprio in prima fila, poco ci manca. Io ci andrei di corsa, devo solo trovare un paio di complici per non fare la strada da solo. E pensavo che ci vorrei portare, per esempio, mio fratello. O con Clara viaggiattrice che assai più di me si intende di opera e quando mi porta in scena con “Improvvisamente” mi infila sempre sul piano qualche suggestione operistica. O l’amico Tinez, che farebbe delle foto fantastiche. O Kate Bellosta che con me canta jazz ma ha una storia di studi lirici sulle (giovanissime) spalle. Oppure Sasaki Fujika e Pleonastica (Kristalla) i cui post con le trame delle opere riscritte in modo più “divulgativo” (diciamo volgare, nella sua accezione più pura) ho ritrovato proprio in questi giorni e ho capito quanto mi erano mancati.

“Ora è già tardi ma è presto se tu te ne vai”
Se non vi siete addormentati premo il tasto pause e partiamo col finale. Ok.

Sento dei passi alle mie spalle. Il mio cantante personale si alza. Sono i musicisti che rientrano nella buca dopo la pausa caffè. Il “mio” cantante li raggiunge, senza mai smettere di cantare. Scambia con loro qualche sguardo, in particolare con una violinista (a cui a occhio e croce stava dedicando il pezzo: ebbene sì, non era per me tutto quel serenare intonato). Poi si cava la berretta e la giacca e sotto ha uno smoking, come tutti gli altri, imbraccia un contrabbasso, uno dei 10 magnifici contrabbassi e prende posto in sezione. Il direttore si posiziona. Riparte Aida. È tutto bellissimo, visto da qui. Grazie #arenadiverona100.

Il camping Jolly e un weekend a Venezia (mapperò senza Venezia)

Al bottegon @ecvacanze #eliteblogtour #lovevenice #chioggia #ecvcontest #ecvjolly

I ragazzi di ECVacanze ci avevano invitati a un blogtour per famiglie, destinazione Roma, Camping Fabuloso, insieme ad altre mamme blogger come me, rispettivi mariti e compagni e il colorato e rumoroso seguito di prole dai 4 ai 12 anni. Ma noi quel weekend avevamo l’ennesima festa di fine scuola e abbiamo dovuto rinunciare. Così, davvero a malincuore, credetemi, abbiamo dovuto abbandonare a casa la prole (alè), per partecipare, invece, la settimana successiva a un blogtour per giovani (alè), noi due soli (alé), in una città che tutto sommato non è malaccio (Venezia). 

E così abbiamo passato un paio di giorni a Venezia. Cioè non proprio a Venezia, al Camping Jolly che sta a Mestre, ma è un ottimo punto di partenza da cui partire per esplorazioni della laguna. E anche della città ovviamente. Poi come spesso capita in questi camping, appena arrivi e provi la piscina (e subito dopo la cucina), cominci a pensare che chi te lo fa fare di uscire di lì? Questo Jolly è un po’ diverso dai villaggi più per famiglie in cui eravamo stati. Qui per dire, c’è la musica “unz unz” costante a bordo vasca. E alla sera ci sono i party e siccome in questo periodo è frequentato quasi solo da giovani variamente biondi, l’atmosfera è quella di un Erasmus party. Anche se io posso affermare con assoluta certezza – e altrettanta tristezza -, che questa moda dei party Erasmus, quelli veramente moderni, dove davvero si intrecciano usi e costumi ma prima di tutto si intrecciano le lingue, è una moda che è iniziata molto dopo che io ero tornato dal mio Erasmus spagnolo. Ma non divaghiamo.
A proposito di eros. Il programma comprendeva una “serata in maschera alla scoperta della lussuriosa Venezia di Casanova”. Io ero tutto frizzante, ma poi no, aveva ragione mia moglie: non si trattava di una serata per coppie scambiste. Peccato, eravamo tutti bellini con le nostre mascherine, sarà per un’altra volta.   

In realtà, a parte la compagnia simpatica e giovanissima degli altri blogger (di un paio potevamo essere a occhio e croce magari non proprio i genitori ma gli zii sì, ovviamente), a parte lo sguazzo in piscina e il fatto che si continuasse a magnare e a bere, l’unico rimpianto è che non abbiamo visto Venezia. O meglio, guardiamola così: la figata è che non abbiamo visto di nuovo la solita Venezia. Siamo stati invece una giornata intera in barca, a zonzo per la laguna.
Compresa la scoperta di Chioggia, dove la guida locale – che era un tedesco – ci ha portato nella casa di uno che aveva l’età e le sembianze di Buffalo Bill e probabilmente era Buffalo Bill.
Compreso il pranzo (spaghi al nero di seppia e poi un diluvio di cozze) ben cucinato a bordo e servito su una palafitta dei pescatori. (Non fatemi dire, per carità del signore, che c’era tra noi chi non mangiava l’aglio e dunque tutti abbiamo rinunciato all’aglio, non fatemi dire che la colpevole si chiama Valentina e che su di lei intendo rivalermi appena possibile non so ancora come, non fatemi dire, per altro, lei mi è anche simpatica, non fatemi dire, infatti non lo dico).
Compresa una quantità di chiacchiere scambiate con i due validissimi marinai. Con uno solo dei due in realtà: l’altro parlava chioggiotto stretto e quindi non si capiva una fava (non si capiva una mona, non si dice, mi sa).
Compreso un mesto bye bye a piazza S. Marco e al Canal Grande visti dalla barca, mentre esausti di sole e prosecco rientravamo alla base.

Unico lato negativo (a parte Valentina, non fatemi dire, sì, Valentina, che mi deve una pasta cucinata con molto aglio), ma non imputabile alla perfetta organizzazione: il trolleyare degli altrui trolley dei campeggiatori in partenza che ti svegliavano a ore antelucane.
E poi mi resta il dubbio sulla solidità dei bungalow. Essendo detti bulgalow plurifamiliari, resto dell’idea che se solo quelli dall’altra parte della parete si fossero messi a trombare con un minimo di impegno, sarebbe oscillato tutto, molto più che in barca. Ma d’altra parte il Jolly è un campeggio per giovani e tra giovani, si sa, a queste cose si fa agevolmente il callo.
Come dite? No, noi vicini non ne avevamo, quindi non potete neppure chiedere a loro se abbiamo oscillato noi.  

Qui trovate le mie foto. E qui i post di racconto e recensione di Valentina (che mi è simpatica, intendiamoci),  Paolo, Stefano, Claudia e Oriana (forse li mescolo anche un po’, suvvia, in memoria dell’ultimo prosecco), validissimi compagni di esplorazioni e di chiacchiere. 

Addio calli, lagune, battelli. Addio camping, piscina, prosecchi. Ciao Bella #eliteblogtour #lovevenice #campingjolly #ecvjolly @ecvacanze

 

EasiYo: lo yogurt fatto in casa e il risotto al kiwi

“Tesoro, abbiamo una yogurtiera…”
“Sì, ce l’abbiamo è lì sotto ma è una cosa vecchia e scomoda infatti non la usiamo mai” rispose mia moglie.
“No, intendevo affermativo: abbiamo una yogurtiera! Una nuova.”

E fu così che entrammo nell’autoproduzione di yogurt con Easiyo, un’idea che viene da lontano, dal New Zeland, distribuita in Italia da QVC. Così ho scoperto che la yogurtiera è (solo) un grosso termos con dentro un altro termos e che per fare questo yogurt basta usare la confezione di preparato EasiYo, rispettare le dosi di acqua a diversa temperatura e lasciare riposare tutto una notte.
Così al mattino ti ritrovi un kg di yogurt. Che sembra tanto, intendiamoci, dire un kg di yogurt, ma poi ti metti ad assaggiarlo così, col cucchiaio direttamente dal termos e in men che non si dica è già diventato mezzo kg. Read More

Musica classica: Revolution, un’orchestra in jeans

Il fatto è che da quando in casa è entrato Crosta, il violino, si è portato dietro una ventata di curiosità e di entusiasmo per la musica classica. Considerato che io l’ho studiata dai 7 ai 12 anni, prima della deriva che mi ha portato a fare il pianista in un bordello, la morale è che non è mai troppo tardi per innamorarsi. Anche se sono due amori diversi. Trent’anni fa era la classica che cercava di farsi amare da me, adolescente distratto. Ora sono io che la inseguo ovunque posso. A ‘sto giro, il nostro è un amore platonico: ho un paio di spartiti sul piano, ma non mi azzardo a suonarla.

In questo periodo di ritrovate curiosità, dunque, mi invitano in giro ai concerti. E dopo un’Aida in Arena in prima fila mi sono infilato in un concerto curioso: Revolution, a Jeans Music Symphonic Show (per gli amici, da qui in poi “un’orchestra in jeans”).
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#10annidiblog: come tutto ebbe inizio

“Certo che ora volendo ne hai di storie da scrivere”. Mi disse un giorno mio padre. Mi parlava da un letto di ospedale, si riferiva alle vicende che nel giro di pochi mesi ci avevano portato lì, a organizzare un addio.
No, tranquilli, questa non è una storia triste o strappalacrime. È la storia di come è nato questo blog, l’ho solo presa un po’ alla larga. Anzi, è la storia di come mi sono ritrovato ad avere un blog. A mia insaputa. Read More

Orto sul balcone: il bello di zappare a mani nude

Il giorno della cresima di Alice mi sono messo la giacca e le scarpe strette alle 9 del mattino e me le sono tolte alle 18.
E non vedevo l’ora ovviamente.
Poi siccome c’erano ancora un paio d’ore di luce sono uscito nell’orto balcone. Ma prima mi sono messo comodo: in mutande.

Per due ore a mani nude ho “zappato”, piantato, potato, scacchiato. Ma soprattutto zappato, rivoltando e mescolando terra, per ospitare i nuovi arrivi (12 piante di scarola, 12 di indivia, 6 coste, 3 pomodori, una salvia e una lavanda per il balcone di Alice). Ho messo la musica a palle sul balcone, un disco che adoro, un disco di Ella & Louis. E mi sono talmente estraniato dal mondo, fischiettando con le manone sporche di terra che non mi sono accorto che davo nell’occhio. Il mio orto balcone è al primo piano, davanti a un supermercato e vicino a un parco dove nelle belle giornate c’è parecchio via vai.
Chi alzava gli occhi per la musica e chi per il contandino urbano seminudo al lavoro.
Ce li avete presente i pensionati che si fermano a guardare i cantieri? Ecco, un paio di loro si sono messi lì, a guardarmi dal basso verso l’alto. E poi un signore col cane mi ha anche attaccato bottone, incuriosito dai miei ormai quasi 30 vasi.
E io, sporco di terra dappertutto, risplendevo. Perché facevo un lavoro manuale, immediato, produttivo. Perché avevo le mani lorde di terra e stavo seminando bellezza e futuro.
E perché non avevo mai avuto un pubblico di pensionati.
L’avete mai visto voi un pensionato fermarsi a guardare il lavoro di un social media manager? 

Apnee del sonno: cosa sono, come si curano (burocrazia compresa)

Soffro di apnee del sonno. Non è grave, no. O forse non ancora. Ma rompe tantissimo i coglioni.

Dato che quando sono stato ricoverato un paio di mesi fa mi avete subissato di domande sul tema, allora ve la racconto qui. Però io questa storia non l’ho letta sui manuali o sul web. Anzi, confesso che non ho mai nemmeno cliccato su “apnea del sonno”. Io tutto quello che so, lo so dalle persone con cui ho parlato, medici, pazienti, burocrati, amici. E dalle persone con cui ho dormito. Che non sono molte in verità. E una si chiama Alfredo. Read More